In un’attualità in cui tutto sembra spingerci verso il nuovo, verso l’acquisto compulsivo e il ricambio continuo, scegliere di riparare diventa una forma di resistenza culturale e sociale: la capacità di aggiustare ciò che si rompe non è soltanto una questione di risparmio, è un gesto consapevole che si inserisce in un contesto più ampio di responsabilità ambientale e critica al sistema economico dominante.
Basti pensare a quanto si stia diffondendo l’interesse per la riparazione elettrodomestici a Torino, città in cui si assiste a un ritorno crescente del valore del recupero, come risposta concreta alla crisi dei consumi e alla produzione incontrollata di rifiuti tecnologici.
Economia circolare: una risposta alla cultura dell’usa e getta
Viviamo immersi in una cultura che ci ha abituati a pensare che sia più semplice, veloce e conveniente sostituire piuttosto che aggiustare: tuttavia, questa logica ha un costo, e non soltanto economico; l’ambiente ne paga le conseguenze, in termini di inquinamento, spreco di risorse e produzione massiccia di rifiuti.
L’economia circolare, al contrario, propone un modello in cui i prodotti hanno una vita lunga, vengono riparati, rigenerati e, solo alla fine, riciclati: in questo approccio, la riparazione non è più un’opzione marginale, ma un tassello fondamentale; riduce la domanda di nuove risorse e combatte lo spreco, aprendo la strada a un consumo più etico e sostenibile.
Crisi dei consumi: quando il nuovo non basta più
La crisi economica globale ha messo in discussione molte delle certezze su cui si fondava la società dei consumi: inflazione, salari stagnanti, aumento del costo della vita; sono tutti elementi che spingono sempre più persone a interrogarsi sul valore reale delle cose.
In questo scenario, il gesto del riparare diventa anche un’espressione di dissenso nei confronti di un modello economico che pretende consumo continuo, ma non offre sicurezza o equità.
Inoltre, in un’epoca in cui molti beni sono progettati per durare poco – basti pensare alla cosiddetta obsolescenza programmata – chi sceglie di riparare compie una scelta quasi rivoluzionaria: non si tratta solo di evitare una spesa, ma di restituire dignità e valore agli oggetti, sottraendosi alla logica del superfluo e del temporaneo.
Questa pratica può diventare anche una leva di trasformazione economica: sempre più imprese artigianali e professionisti stanno investendo nel settore delle riparazioni, creando nuove opportunità di lavoro e promuovendo competenze tecniche spesso dimenticate.
Riparare come atto culturale
Riparare è anche un gesto culturale, perché ci impone di rallentare, osservare, comprendere il funzionamento delle cose: in un’epoca dominata dalla rapidità e dalla smaterializzazione della tecnologia, prendersi il tempo per smontare un oggetto, analizzarne il danno, e riportarlo in vita è una forma di conoscenza che ha valore in sé: è un’educazione alla pazienza, alla cura, alla responsabilità.
Ma è soprattutto un’azione individuale che incide sulla collettività: riparare significa scegliere un’alternativa, non solo tecnica ma valoriale. Significa rifiutare l’omologazione e l’invisibilità dei processi produttivi globali, e restituire centralità al sapere manuale, alla relazione diretta tra oggetto e persona; significa, infine, rimettere in discussione il nostro ruolo di consumatori passivi, per diventare soggetti attivi e consapevoli del cambiamento.
Verso una nuova normalità sostenibile
Incoraggiare la riparazione, in tutte le sue forme, è un passo essenziale verso una transizione ecologica concreta e accessibile: politiche pubbliche come il “bonus riparazioni” adottato in alcuni paesi europei – tra cui la Francia, che rimborsa parte delle spese sostenute per aggiustare elettrodomestici – mostrano come le istituzioni possano favorire un cambiamento sistemico.
Anche l’Unione Europea, sta ponendo le basi per una maggiore trasparenza e facilità di accesso alle riparazioni, obbligando i produttori a garantire pezzi di ricambio e informazioni tecniche per almeno dieci anni.
Ma accanto agli interventi normativi, è fondamentale un mutamento culturale: dobbiamo imparare a vedere nella riparazione non una soluzione di ripiego, ma un’alternativa desiderabile.
Rimettere a posto ciò che si rompe non significa accontentarsi di meno, ma valorizzare di più; non è nostalgia di un passato artigiano, ma proiezione verso un futuro sostenibile e solidale, dove ogni gesto quotidiano può avere un impatto positivo sull’ambiente e sulla società.
Il futuro passa per le mani
Riparare è, oggi più che mai, un atto che parla di scelta e di consapevolezza: in un mondo che spinge al consumo sfrenato e alla rapida obsolescenza, scegliere di aggiustare è un gesto controcorrente, capace di produrre valore economico, ambientale e sociale.
Non si tratta solo di risparmiare denaro, ma di riconoscere dignità agli oggetti e responsabilità alle nostre azioni; e se è vero che la sostenibilità inizia dai piccoli gesti quotidiani, allora riparare diventa una dichiarazione di intenti, un modo per prendere posizione e dire: possiamo fare meglio, possiamo fare diversamente. In fondo, come spesso accade, il cambiamento comincia dalle mani e dagli esperti dei vari settori.








