C’è una frase che non troverete nei piani strategici delle multinazionali, né nei discorsi motivazionali dei top manager. Ma che spiega più di qualsiasi bilancio. È questa: “Abbiamo paura di essere felici.”
Guido De Carli, autore di Leadership oltre le barriere, non ha dubbi. Le aziende moderne, sotto la patina di benessere organizzativo e team building, soffrono di analfabetismo emotivo strutturale. Non è un caso, dice, se le persone più performanti sono spesso anche le più svuotate. La felicità è stata espulsa dal lessico della leadership. Non fa KPI. Non entra nei fogli Excel.
“Ci hanno insegnato che vulnerabilità fa rima con debolezza. Che emozionarsi è un problema. Che chi sente troppo non è adatto alla guerra del mercato.”
Ma è proprio questo il primo sabotaggio emotivo. Il più invisibile. E forse il più devastante.
Prima frattura: la felicità è privata, non professionale.
In azienda puoi essere produttivo, brillante, performante. Ma non felice. La felicità è relegata al weekend, alla sera, alla vita fuori. Come se il lavoro dovesse essere, per definizione, un sacrificio. Questa dicotomia è radicata. Ma falsa. Perché, come spiega De Carli, “una persona integra non può vivere spezzata tra due mondi. La felicità non ha badge.”
Seconda frattura: il leader deve essere freddo.
L’ideale di leadership ancora dominante premia l’autocontrollo fino alla disconnessione. Chi guida non deve sentire. Deve decidere. Imporre. Agire. Ma un leader emotivamente disconnesso non è forte. È pericoloso. Le emozioni represse non scompaiono. Agiscono nell’ombra. Influenzano giudizi, alimentano bias, avvelenano le relazioni.
Terza frattura: la cultura aziendale confonde stress con passione.
Il burnout viene scambiato per dedizione. “Lavora fino a tardi” diventa un elogio, non un campanello d’allarme. La tensione cronica viene legittimata, quasi celebrata. Ma sotto, si muove una tristezza profonda. La sensazione che tutto sia sforzo, rincorsa, prestazione. E che fermarsi significhi fallire.
Quarta frattura: le donne devono adattarsi al modello maschile.
Le organizzazioni pretendono sensibilità, ma premiano il cinismo. Chiedono empatia, ma promuovono chi alza la voce. Il femminile è tollerato, mai integrato. De Carli lo dice con chiarezza: “Non basta inserire più donne nei board. Bisogna cambiare il paradigma stesso della leadership.” Serve una cultura in cui la cura, l’ascolto, la gentilezza non siano eccezioni, ma norme.
Quinta frattura: il successo è misurato in numeri, non in benessere.
I budget si raggiungono, le persone si perdono. Le aziende contano gli obiettivi, ma non le fratture. Eppure, la vera produttività nasce da persone che si sentono viste, rispettate, sostenute. La felicità non è un lusso. È un indicatore di salute sistemica.
“Lo so, è fastidioso sentirlo. Ma è proprio qui che si gioca tutto.”
Leadership oltre le barriere non è un libro morbido. È una chiamata radicale. Un invito a disinnescare il sabotaggio emotivo che viviamo e perpetuiamo ogni giorno. A partire da noi stessi. Perché la felicità, se è vera, comincia dentro. Ma non può finire lì.
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